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L’insostenibile leggerezza del Melo

Carmelo Anthony ai Knicks. I numeri al momento non danno ragione all'ex Nuggets

So già che questo pezzo si attirerà le ire dei più focosi sostenitori dell’arrivo di Carmelo Anthony nella grande Mela, però da appassionato di basket che ogni tanto dà anche uno sguardo ai numeri mi balza subito all’occhio un dato che potrebbe sembrare inquietante per il futuro della squadra di New York.

Facciamo un passo indietro. Il 22 febbraio 2011 c’è stata la trade che ha portato Carmelo Anthony e Chauncey Billups ai Knicks in cambio di Danilo Gallinari, Wilson Chandler, Raymond Felton e Timoftey Mozgov a Denver. Fino a quel momento New York aveva un record di 28W e 26L, mentre i Nuggets erano a 33W – 25L.

Nelle intenzioni di chi ha fatto la trade a New York, che ricordo non aveva il bene placido di Donnie Walsh, GM dei bluarancio, ma che è stata spinta del proprietario, Dolan, supportato a quanto si dice da Isiah Thomas, che a NY ha fatto più danni della grandine, l’arrivo di Melo avrebbe dovuto portare i Knicks ad un livello più alto e verso un record decisamente più positivo, invece…

Invece la magata pare l’abbia fatta Masai Uijiri, GM dei Nuggets.

Sì, perchè dal momento della trade New York ha chiuso la stagione con un record di 14W e 14L, mentre Denver ha chiuso con un record di 17W e 7L.

Per i soli parziali numerici, Denver è passata da un 57% di vittorie pre-trade ad un 71% post-trade, per un record finale di 50W – 32L, ovvero il 61% di vittorie. New York, invece, è passata dal 52% circa pre-trade al 50% tondo post-trade, chiudendo con il 51% di vittorie finali.

Non va meglio se prendiamo l’inizio di questa stagione, dove al momento in cui scrivo questo articolo, New York mantiene il suo 50% con 4W – 4L nonostante l’arrivo di Tyson Chandler mentre Denver, pur dovendo rinunciare alla sua colonia cinese è al 67%  circa, con 6W e 3L.

Tutto questo, se proprio vogliamo mettere sul piatto tutte le carte, in due Conference dalla diversa competitività, che rimane superiore ad Ovest che ad Est.

Questo vuol dire che Melo peggiora le squadre in cui gioca e che quindi non è un top-player? Assolutamente no. Sarebbe infatti limitativo dare la colpa a lui per questa situazione.

Vuol dire allora che è meglio una squadra più profonda che una squadra con due-tre stelle per ottenere risultati vincenti? No, nemmeno questo.

Vuol semplicemente dire che bisogna sempre valutare il contesto in cui si inseriscono determinati giocatori e determinati sistemi. Come dicono spesso Flavio Tranquillo e Federico Buffa nei loro commenti: “dimmi in che sistema giochi e ti dirò chi sei” e le due squadre in questione hanno sistemi ben diversi tra di loro e allenatori differenti.

Denver ha infatti trovato nel roster attuale il miglior sistema possibile da dare a George Karl, con un attacco equilibrato di giocatori intercambiabili che possono a turno prendersi le responsabilità nei momenti che scottano. E’ un sistema vincente? Forse no, perchè ai playoff, alla fine della fiera per vincere hai bisogno di una stella che ti chiuda le partite quando la palla scotta maggiormente e un go to guy sicuro e designato a cui affidarti nei momenti in cui si decidono le gare. Sul lungo periodo, però, questo è un sistema vincente, perchè magari non ti permette di arrivare in fondo, ma ti permette di avere un ottimo record in stagione e di battere sempre le squadre tecnicamente inferiori, proprio perchè le vittorie arrivano per merito di un sistema e non di un singolo. Ed era proprio uno dei motivi, questo, per cui Anthony non riusciva più ad incidere nel gioco di Karl. Melo tendeva infatti a rompere i giochi e gli schemi e la fluidità di gioco di cui avevano bisogno alcuni interpreti perdeva di efficacia.

Dall’altra parte, a New York, c’è un coach, Mike D’Antoni, che per far funzionare il suo gioco ha sempre avuto bisogno di un play di altissimo livello, di un lungo che non occupasse l’area e di esterni che non necessitassero palla in mano ma che sapessero farsi trovare pronti oltre l’arco per un tiro o per una penetrazione a difesa ormai mossa. Invece all’ex Benetton è stato dato Melo, un esterno che ha bisogno di avere palla in mano per essere efficace che mal si accoppia di suo con Stoudemire, un centro come Chandler che offensivamente occupa spazi che Mike vorrebbe liberi per la penetrazioni del play e un play che attualmente è Douglas che farebbe imbestialire anche Padre Pio in quanto a letture di gioco.

Logico dunque che tra le due situazioni ci guadagnasse più Denver, con buona pace di chi festeggia ancora adesso l’arrivo di Melo a New York.

Logico anche però che D’Antoni è un dead man walking e che la sua presenza nella grande Mela abbia i giorni contati (il suo contratto scade al termine di questa stagione). Un male per i Knicks l’eventuale allontanamento dell’ex coach dei Suns? No se consideriamo il materiale umano a sua disposizione, che renderebbe meglio con altri sistemi di gioco. Sì se consideriamo che sarebbe bastato non buttarsi a capofitto su Melo ma aspettare magari l’arrivo di Un Chris Paul o di un Deron Williams tradato pochi istanti dopo l’arrivo dell’ex Syracuse per rendere la squadra più adatta al gioco Run&Gun di D’Antoni e per dare continuità al progetto che Walsh aveva disegnato un paio di stagioni prima.

Poi, magari, New York non sarebbe comunque arrivata al titolo, ma avrebbe a mio avviso incrementato le sue possibilità di farlo.

Ricapitolando, Melo è un Top Player come ce ne sono pochi nella lega, ma in questa lega, la cosa più importante rimane la programmazione e che senza quella nemmeno un giocatore stellare come lui può fare molto.

L’unica magra consolazione? Constatare ogni giorno di più che i Nets del mio amico Jason (a cui si deve l’idea di questo articolo) non facciano nulla per trattenere Deron Williams, che con tutta probabilità saluterà la compagnia in estate da Free Agent. Ci si accontenta di poco…

Categorie: NBA | Tag: , , | 11 commenti

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